Storia del Mediterraneo in 20 oggetti by Amedeo Feniello & Alessandro Vanoli

Storia del Mediterraneo in 20 oggetti by Amedeo Feniello & Alessandro Vanoli

autore:Amedeo Feniello & Alessandro Vanoli [Feniello, Amedeo & Vanoli, Alessandro]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: i Robinson / Letture
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2018-11-08T23:00:00+00:00


La bussola

Se vi avvicinate un poco alla vetrina la vedrete: una scatola di legno e al centro un cilindro di metallo con la rosa dei venti. Siete entrati da poco al museo e lo avete fatto anche per lei: in fondo sono giorni che la vedete ovunque. Persino sullo stemma della città: perché nella parte bassa del gonfalone di Amalfi c’è in effetti una bussola, affiancata da quattro ali d’argento che rappresentano i venti principali. Così adesso ve ne state nel Museo dell’Arsenale, tra quelle arcate di pietra e calce che un tempo, in pieno medioevo, ospitarono l’antico cantiere navale della Repubblica, e cercate l’origine di tutta questa storia. Sì, perché c’è un racconto antico, medievale, che qui riecheggia a ogni passo: la bussola, si dice, sarebbe un’invenzione amalfitana; di un certo Flavio Gioia, si aggiunge poi mostrandone talvolta anche la statua ottocentesca che sta sul lungomare. Bene, proviamo allora a mettere in ordine le cose; cominciando dalla fine.

Flavio Gioia non esiste. O meglio, esiste un po’, ma è frutto più che altro di un errore. Tutto cominciò nel rinascimento, attorno alla metà del XV secolo, quando l’umanista Flavio Biondo, nelle pagine della sua Italia illustrata, ricordò come la bussola fosse nata ad Amalfi. Mezzo secolo dopo, il bolognese Giambattista Pio riprese la notizia con queste parole: ad Amalfi «fu inventata da Flavio, si dice» («inventus a Flavio, traditur»). Ma a dimostrazione che il latino è davvero una lingua micidiale, bastò una virgola per fraintendere irrimediabilmente quella frase: molto probabilmente, infatti, ciò che lo scrittore voleva significare era «Flavio lo dice» (con la virgola cioè dopo inventus).

Ma a quel punto era tardi: tutti i lettori presero per buono quel nome, Flavio, come quello dell’inventore. Anzi, alla fine del XVI secolo, lo storico napoletano Scipione Mazzella s’immaginò pure le sue origini, sostenendo che fosse nato a Gioia, in Puglia. Il personaggio, a questo punto, era pronto: l’immaginario Flavio Gioia attraversò i restanti secoli, per giungere all’Ottocento pronto a entrare tra le glorie nazionali. Ma in tutto questo mito qualcosa di vero a ben guardare c’è: Flavio Gioia con tutta probabilità non è mai esistito ma Amalfi sì e la repubblica marinara ebbe davvero a che fare con la bussola. Ma questa è una storia che comincia molto prima e molto più lontano.

Un ago che segna ovunque la stessa direzione. La bussola funziona perché la Terra è un magnete gigante. E un magnete è un oggetto che induce un campo magnetico; una regione di spazio, cioè, in cui agiscono linee invisibili di forza che corrono tra i due punti denominati polo nord e polo sud magnetico. È tutta questione di come si muovono gli elettroni al suo interno, dicono i fisici, ma qui la cosa si farebbe troppo complicata. A noi basti ricordare due cose. La prima è che poli uguali si respingono e poli contrari si attraggono. La seconda è che, al centro della terra, la rotazione del nucleo di ferro fuso produce una sorta di dinamo che trasforma il pianeta in un’enorme calamita, col suo campo magnetico e i suoi due poli a sud e a nord.



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